Identità multiculturale: prodotto coloniale o ricchezza autentica?

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"Siete dei disacculturati!"
Frase celebre di mio padre, riferita ai suoi figli con l’affetto che sapeva nascondere dietro parole spiazzanti. Quel giorno ci aveva lasciato disarmati, chi poteva dire il contrario? Nessuno di noi ha finora avuto modo di conoscere veramente il Camerun, con lo spirito di chi vuole riappropriarsi delle proprie radici. Qualche anno fa, il messaggio sarebbe entrato da un orecchio e uscito dall'altro; oggi, invece, ne percepisco il peso, nella sua impalpabile complessità.
Il bisogno di appartenenza è umano e fondamentale: plasmiamo la nostra identità tramite il contatto con la famiglia, gli amici, la società. Siamo quasi tutti figli di un unico tessuto culturale ma vorrei mettere l’accento su chi convive con una pluralità di influenze, come un tessitore ha la possibilità di cucire un capo su misura unico nel suo genere, oppure di ritrovarsi con un groviglio di pezze senza forma.
L’ideale sarebbe fare un bel video YouTube:
“Bella a tutti ragazzi, benvenuti nel mio tutorial di sartoria culturale: oggi intrecciamo due continenti in cinque facili passi, senza fatica.”
Ma una spiegazione step by step non può esistere. La cultura è viva, dinamica, plasma ogni aspetto della nostra vita, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Allora non resta che tornare al mio proverbio africano preferito:
“Se non sai dove vai, sappi almeno da dove vieni”
Proverbio africano
 

Primo tassello: Du Bois e la “double consciousness”

FRATTURA INTERIORE
W. E. B. Du Bois (1868–1963) sociologo, storico e attivista afroamericano, definisce la doppia coscienza per descrive l’esperienza di chi, come nero negli Stati Uniti, vive sempre diviso tra due sguardi:
  • da un lato, la propria identità e dignità personale;
  • dall’altro, la percezione imposta dalla società bianca, che lo vede come “inferiore”.
Questa frattura interiore non è solo psicologica: influenza il modo di muoversi nel mondo, di parlare, di lavorare, perfino di sognare.
Per Du Bois, la condizione afrodiscendente è un continuo oscillare tra questi due poli, con il rischio di non sentirsi mai pienamente sé stessi. Usa la metafora del Velo per indicare la barriera invisibile ma reale che separa i neri dai bianchi: vivere “dietro un velo” significa essere visti non come individui, ma come razza stigmatizzata; e, a forza di quello sguardo, rischiare di vedersi con gli occhi del colonizzatore.
“La storia del nero americano è la storia di questa lotta, di questo desiderio di raggiungere la maturità autoconsapevole, di fondere il proprio doppio io in uno migliore e più vero. In quest'unione egli non vorrebbe perdere niente delle sue due vecchie anime. Non vuole africanizzare l'America, perché l'America ha troppo da insegnare al mondo e all'Africa. Non vuole sbiancare la sua anima nera in un diluvio di americanismo bianco; perché sa che il sangue nero ha un messaggio per il mondo. Desidera semplicemente rendere possibile per un uomo essere sia un nero che un americano, senza che i suoi simili lo perseguitino o gli sputino addosso, senza che le porte delle opportunità gli vengano chiuse rudemente in faccia.”
Web di Bois
CONTESTO STORICO
Du Bois scrive nel periodo storico della Reconstruction (1865–1877), in cui il governo federale cerca di integrare gli ex schiavi nella vita politica ed economica degli Stati Uniti, con diritti civili, scuole e una certa rappresentanza politica.
Il razzismo è diretto, aggressivo, pura barbarie. I neri d’America sono stati per secoli carne da macello e tutto ad un tratto, col finire dello schiavismo, si ritrovano a dover gestire “uno stipendio”. Il suo libro “Le anime del popolo nero” mi ha molto toccato: racconta la transizione in modo dettagliato e l’ho percepito come una tragedia in cui ogni singolo successo a beneficio dei neri era nientemeno che una magra consolazione in un quadro generale assai deplorevole.
“Essere povero è difficile, ma appartenere a una razza povera in un paese di dollari è il massimo della difficoltà”
Web di Bois
Piccolo fun fact. L’abolizione della schiavitù non fu un atto di filantropia, finì per sola convenienza economica. Il nord America si era industrializzato, e lo schiavo non era adatto al nuovo sistema: acquistarlo richiedeva un capitale iniziale troppo elevato di decine di migliaia di euro, a cui seguiva il suo mantenimento a vita. Gli imprenditori invece cercavano operai specializzati a basso salario, flessibili, li paghi a giornata e tagli i costi.
In ogni caso Du Bois considera la Reconstruction una fase di grande speranza ma anche di fallimento con l’instaurarsi delle leggi di segregazione.
 

Secondo tassello: Bhabha e l’ibridità

Oggi la decolonizzazione politica è in gran parte avvenuta, ma il colonialismo continua a vivere nei linguaggi, nelle immagini, nei rapporti sociali.
Oggi abbiamo la possibilità di rivelare a noi stessi e al mondo chi siamo veramente, ognuno a suo tempo deve capire come cucire la propria identità in un unico leggins di pelle.
Il maggior interprete di questo scenario socio-culturale è Homi Bhabha, un importante filosofo contemporaneo indiano che ha indagato su come le identità si formano nei contesti di migrazione e globalizzazione.
Bhabha si chiede: “che cosa accade nello spazio dell’incontro quotidiano tra colonizzatore e colonizzato? Cosa succede nel mezzo, nel contatto quotidiano?”
Le risposte più pertinenti risiedono nelle sue formulazioni del concetto di ibridità e ambivalenza.
 
IBRIDITA’
Non sei “solo africano” né “solo italiano”, sei entrambe le cose, ma anche qualcosa di nuovo che nasce dall’incontro di queste due identità: avviene un mescolamento, un processo creativo che produce nuove forme culturali.
Questa condizione non è un difetto (come spesso la società fa credere), ma una ricchezza: puoi muoverti tra codici diversi e reinventarti.
“Puoi anche spostare una montagna con una sola mano, ci sarà sempre qualcuno che avrà da ridire sul tuo operato”
King Le Yong
I meticci a mio avviso incarnano questa ricchezza, trascendono i costrutti sociali e imprimono la loro narrativa nel mondo. Che stile.
 
AMBIVALENZA
Il concetto di ambivalenza esprime le contraddizioni che si manifestano nel contatto tra più culture.
  • Attrazione: ciò che è diverso può affascinare, stimolare curiosità, sembrare nuovo ed esotico.
  • Repulsione: allo stesso tempo, la diversità può far paura perché minaccia le categorie identitarie già stabilite.
La dinamica di attrazione e repulsione è particolarmente intensa nei contesti segnati dal colonialismo.
In quanto afrodiscendente in Italia posso sentirmi attratto dalla cultura in cui vivo (lingua, opportunità, modelli), ma anche respinto da esso (razzismo, esclusione, stereotipi). Legato all’Africa, ma anche distante.
Mi state chiedendo degli esempi rappresentativi di questa ambivalenza?
Una mia conoscenza riceve pressioni dalla madre in Nigeria perché si trovi un marito, nonostante stia studiando all’università a Milano e sposarsi non sia proprio la sua attuale priorità.
Oppure, tempo fa mi hanno raccontato di un ragazzino di origine marocchina che, in pubblico, ignorava la madre perché portava il velo. Sfortunatamente, le pressioni esterne lo avevano portato a vergognarsene, nella sua innocente età infantile.
Gli screzi tra genitori e figli possono indurre ad un amore famigliare ricco del sentimento di attrazione/repulsione; per causa del distacco generazionale e culturale, la comunicazione è spesso inefficace, almeno in un primo momento. Questa ambivalenza può diventare ferita oppure laboratorio: uno spazio in cui decido di servirmene per plasmare la mia personalità.
Per Bhabha non si “esce” dall’ambivalenza: la si abita, si impara a muoversi dentro di essa.
 
UN IMPEGNO PERSONALE
Il binomio attrazione/repulsione è inconsapevole, io non mi rendevo conto del mio disinteresse verso le mie origini pk “tanto sono in Italia” ma nemmeno mi interessavo particolarmente della cultura italiana pk “in realtà ho origini camerunesi” e “in fondo non sono questioni urgenti”. Proprio non ne capivo il senso, ma nemmeno mi interessava trovarlo. Ignorare un problema non lo risolve, ti logora…e nemmeno te ne rendi conto.
Oggi voglio skatare tra 2 continenti come Tony Hawk: parlare fluentemente francanglais e nouchi, confrontare la mentalità italiana con quella camerunese, preparare da Dio la pasta alla carbonara come il domoda.
 

Conclusione

Le ricerche fatte per questo articolo mi hanno spinto a mettere in discussione me stesso.
Eredito la storia dei miei antenati, va conosciuta. Sono cresciuto in Italia perché era necessario, e di questo ne sono grato. La cultura africana è dominata da quella occidentale sul piano storico, mediatico e sociale ma mi impegno a scoprirla e valorizzarla in egual misura, restituendole la dignità che merita e sottraendola alle narrazioni distorte che per troppo tempo l’hanno definita dall’esterno.
Prima di essere un informatico, un ballerino, un cittadino, devo essere innanzitutto un uomo, ciò rende necessaria la riconnessione con le mie radici.
“Beato chi conosce e vive nel conforto del benessere e continua a gioirne. Beato chi continua serenamente la sua vita, nella totale ignoranza del conforto del benessere e persino della sua esistenza”
Proverbio africano
 

BIBLIOGRAFIA

  • “Le anime del popolo nero“ - W.E.B. Du Bois