Kémi Séba e l’Africa nel miraggio del progress

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“Vivi come se fossi sempre osservato e non avessi alcuna azione di cui vergognarti davanti a nessuno.”
Marco Aurelio

MATRIX

Vi siete mai sentiti completamente fuori posto?
Rispetto a un luogo, a una dinamica sociale, oppure a questioni più personali, come un pensiero scomodo che avete formulato, un’emozione che non sapete spiegare o rispetto a come vi auto-percepite.
Se la risposta è no, siete bravi a mentire quanto lo sono io a cucinare (in pochi capiranno la gravità di questa offesa).
Invito i più sinceri a seguirmi più in là. Immaginate di vivere in un mondo fittizio, il Matrix: come vi sentireste a realizzare che la vostra realtà è sempre stata pura finzione? Fuori posto all’ennesima potenza.
Però nel Matrix si sta bene. Non è reale, ma è sicuramente preferibile a lottare contro un esercito di robot e rischiare la vita in nome della libertà (per chi ha visto il film).
Questa sensazione di disorientamento non è solo da cinema: può diventare politica, culturale, storica.
Esplora la realtà con gli occhi della conoscenza e prendi una posizione consapevole.
Kémi Séba l’ha fatto, per questo è un’ispirazione per gli africani di tutto il mondo.
Non cerca di piacere a nessuno, ed è la ragione per cui tutti sono interessati a conoscerlo.
Se dovessi descriverlo a parole mie, direi che è un pensatore africano contemporaneo.
 
CHI E’ KEMI SEBA
Kémi Séba è un attivista, scrittore e oratore beninese, nato nel 1981 in Francia.
Accusa l’oligarchia occidentale di mantenere il controllo politico ed economico sull’Africa attraverso strumenti moderni come: il franco CFA, le basi militari, le multinazionali, gli accordi economici asimmetrici e la manipolazione delle élite locali.
Pur essendo terminato formalmente il colonialismo, l’Africa è ancora soggetta a una forma di dipendenza sistemica.
 
IL TRAUMA INVISIBILE
L’Africa non ha ancora elaborato il trauma profondo della schiavitù, e questo è uno dei drammi meno affrontati della sua storia recente.
I popoli africani si sono ritrovati a gestire il trauma post-coloniale senza preparazione, senza guida, senza un’educazione civica e psicologica pensata per emanciparli.
Al contrario:
  • La Conferenza di Berlino ha frammentato etnie, culture e famiglie.
  • L’Africa è stata lasciata sola, dispersa e maleducata alla propria storia.
  • Nessun processo di rieducazione è mai stato messo in atto all’interno delle singole nazioni, nessuna sensibilizzazione collettiva è avvenuta.
 

TRONCAMENTO IDENTITARIO

Vorrei trattare con voi due elementi di questo trauma, in modo da inquadrare il contesto in cui si colloca la lotta del signor Kémi Séba.
 
CONFERENZA DI BERLINO
Con la conferenza di Berlino, le potenze europee si riunirono in pasticceria perché golosi come sono, volevano un dessert esotico.
Quindi si sono spartiti l’Africa, definendo i confini a loro piacimento come se fosse una torta.
Questo ha segnato la frammentazione casuale di culture, famiglie, relazioni commerciali e tanto altro.
Immaginate di dividere in due l’Italia tra Nord e Sud: due nazioni, due governi distinti.
E perché no? Alla metà superiore annettiamo pure un po’ di Francia e un po’ di Svizzera, perché… fa comodo a un pugno ristretto di persone che detengono il potere.
Probabilmente nel giro di pochi anni, le future generazioni non darebbero nemmeno rilevanza alla storica unità nazionale.
Ora pensate se il barbatrucco colpisse tutta l’Europa.
L’UE esisterebbe se ogni paese perdesse la sua coscienza nazionale?
L’Africa è stata tagliata a fette e la gente non dà abbastanza peso a questi avvenimenti.
Se non lo fanno i libri di storia delle medie, lo farò io.
Secondo Kémi Séba, l’ambita sovranità del continente esula dalla sua attuale divisione geografica.
 
OLIGARCHIA
Per “oligarchia” occidentale, mi riferisco ad una minoranza rispetto alla popolazione complessiva, che detiene un potere sproporzionato. Sono coordinati e convergenti negli interessi, agiscono per autoconservazione del potere ed escludono la maggioranza (in questo caso, le comunità africane, ma possiamo includere la stessa popolazione occidentale) dal processo decisionale reale e la tengono disinformata delle loro azioni.
Kémi Séba denuncia le élite occidentali (politiche, bancarie, militari, multinazionali), che in alleanza con élite africane locali corrotte, mantengono l’Africa in una struttura neocoloniale.
Impongono una presenza soffocante nelle economie africane, simulando cooperazione e aiuto allo sviluppo, mentre nascondono pratiche predatorie dietro il linguaggio della “partnership” e degli “aiuti umanitari”. Fanno buon viso a un gioco che resta profondamente ineguale.
Prendiamo come esempio 2 case study (ce ne sarebbero un infinità) per capire come agisce questa classe predatrice.
  1. CASE STUDY: franco CFA
    1. Kémi Séba ha pubblicamente bruciato un biglietto da 5 000 franchi CFA come gesto simbolico contro ciò che lui definisce Françafrique (l'influenza neo-coloniale francese in Africa).
      L'episodio avvenne il 19 agosto 2017, durante una manifestazione a Dakar, in Senegal.
      Fu arrestato, accusato di distruzione di valuta e successivamente assolto.
      Venne espulso dal Senegal e dalla Costa d’Avorio a seguito delle sue azioni e delle tensioni politiche legate al suo attivismo.
      Ma cos’è il franco CFA? Perché tanto clamore?
      Il Franco CFA, acronimo originario di "Franco delle Colonie Francesi d’Africa", fu creato dalla Francia nel 1945, oggi è in uso in 14 paesi africani.
      Il tasso di cambio del Franco CFA è fisso rispetto all’euro, 1 euro = 655,957 franchi CFA. Non fluttua liberamente nei mercati valutari: replica automaticamente l’andamento dell’euro, come un sosia monetario senza autonomia. Se l’euro si rafforza o si indebolisce, il CFA lo segue in modo identico, invece di adattarsi all’economia africana.
      CONSEGUENZA: l’euro è una moneta “forte”, pensata per economie sviluppate. Legarsi ad esso blocca la competitività delle esportazioni africane, danneggia la crescita locale e favorisce le importazioni dall’Europa.
  1. CASE STUDY: Costa D’Avorio
    1. Secondo Kémi Séba, la Costa d’Avorio rappresenta il cuore pulsante del sistema Françafrique: uno Stato profondamente manipolato dalla Francia.
      Séba è particolarmente preoccupato per il destino del paese, e in particolare per la capitale Abidjan, che rischia di trasformarsi in una "futura Dubai africana": sfarzosa, moderna, patinata... ma ingannevole.
      "È come una prigione d’oro" dice Séba.
      "Bella, brillante, comoda — ma sempre una prigione."
      Dietro le facciate scintillanti si nasconde una totale assenza di sovranità.
      La relazione con la Francia viene venduta come positiva, e molti — specialmente nella diaspora africana disinformata — tornano nel continente pensando di contribuire a una rinascita africana.
      Séba sostiene che il ritorno nella madre terra deve essere consapevole, se alimenti un sistema economico e politico che è ancora francese, non stai costruendo l’Africa, ma stai rafforzando la prigione che la tiene inchiodata.
       

LACCIO SPIRITUALE

Abbiamo parlato del trauma invisibile che persiste nel continente africano, della sua relazione con la storica conferenza di Berlino e l’odierna oligarchia occidentale, che porta avanti i “lavori”. Manca un ultimo pezzo del puzzle, necessario a collocare Kémi Séba nella sua missione.
 
LE ORIGINI
“Quando non sai dove stai andando, guarda da dove vieni.”
Proverbio africano
L’africa è stata lasciata sola, dispersa e maleducata alla propria storia (Per chi volesse approfondire le pratiche disumane che gli africani deportati dovevano sopportare, mirate a rompere il filo invisibile della memoria genealogica…Google)
Il mondo occidentale ha trattato — e in parte continua a trattare — l’Africa come un blocco unico, omogeneo. L’"uomo nero" è una semplificazione brutale che ha appiattito secoli di culture, lingue e civiltà.
L’identità collettiva africana esiste, ma è stata disarticolata, unita per lo più dal colore della pelle, incapace di esprimere il proprio reale potenziale nello scenario geopolitico.
Kémi Séba di fronte a questa opera d’arte occidentale, disumanizzante, organizzata e giustificata con teorie razziste, scrive diversi libri, tra cui “Filosofia fondamentale della panafricanità” (tradotto in italiano), in cui sostiene il ritorno ad una filosofia essenzialista e spiritualista (da non confondere con religione istituzionalizzata), che si rifà a un’identità africana "originaria" perduta o soffocata dalla modernità e dalla colonizzazione.
PHILOSOPHIE DE LA PANAFRICANITE FONDAMENTALE - CONCEZIONE DEL TEMPO
Africa e Occidente hanno 2 concezioni differenti del tempo, e non in senso fisico o cronologico.
Tempo lineare (Occidente):
  • Concepisce il passato come barbarie e il futuro come progresso.
  • Lo sviluppo è materiale (tecnologia, controllo sulla natura, economia...).
  • Abbandona il passato, per nuove scoperte.
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CASE STUDIES
colonialismo, capitalismo, sfruttamento in nome del "progresso" e della "civilizzazione".
Tempo ciclico (cosmogonia Africana):
  • Il tempo non è una freccia, ma un cerchio.
  • L’inizio (origine) è il punto più alto di armonia tra umano, natura e divino, pk è puro riflesso della creazione di Dio.
  • Ogni ciclo riporta alle origini, e le tradizioni hanno valore eterno.
  • La saggezza sta nel custodire il passato.
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CASE STUDIES
culture basate sul rispetto delle radici, della comunità, dei rituali, dell’equilibrio spirituale e naturale.
Per Séba, Hegel è l’antitesi perfetta di questo binomio: rappresenta la matrice intellettuale del colonialismo culturale, il disconoscimento del valore delle civiltà africane. In altre parole, Séba rifiuta non solo la teleologia hegeliana, ma anche l’idea stessa che l’Africa debba "entrare" nella storia secondo i parametri occidentali. La concezione eurocentrica, in cui l’Africa viene vista da Hegel come "fuori dalla storia", è profondamente discutibile. Hegel ha vissuto in pieno colonialismo e sarebbe strano se avesse detto cose come: “l’Africa è la culla dell’umanità”.
Questa distinzione simbolica del tempo è il fondamento di Kémi Séba per un ritorno africano alla propria identità originaria.
 

AFRICA RELOAD

INTEGRAZIONE
Visti lo scenario coloniale ed il tema del ritorno identitario, qual’ è il progetto di Kémi Séba?
Sostiene che le comunità africane siano eccessivamente inclini all’integrazione: ovunque si trovi la diaspora, lottano con passione per essere riconosciuti in uno spazio che non è stato costruito per loro e di fatto cercano di “invadere” il territorio dell’altro — spesso quello dell’ex colonizzatore — pur di ottenere legittimazione.
Affermarsi all’interno di un sistema che ti ha negato diritti, libertà e rappresentanza significa entrare in una festa in cui in verità nn sei stato invitato.
In modo molto provocatorio sostiene che è come passare da schiavo che zappa a schiavo che dirige la sala: forse stai meglio, ma non sei libero.
In realtà l’inclusione è fondamentale, è il primo strumento per rivendicare la nostra libertà, ha permesso ai neri di vivere in modo più dignitoso e di poter ambire a carriere di alto livello negli ambienti intellettuali e sportivi (una volta del tutto inaccessibili), ma mi piace pensare che ognuno ha una missione, che si esprime in questa citazione:
“Non sono un leader, non sono un modello, ho innumerevoli difetti, ma quello che conta è che sulla terra ciascuno metta la propria luce per fare avanzare il suo popolo.” ✨✨
Kémi Séba
L’integrazione deve esistere come una componente importate di un processo di emancipazione più grande. Questo vale soprattutto per le nuove generazioni, spesso confuse.
Quando trasformi l’inclusione da strumento a obiettivo assoluto, secondo Kémi Séba sei entrato nella corrente integrazionista, quella che cerca approvazione nel sistema dell’altro, dimenticando la costruzione autonoma del proprio.
 
AUTODETERMINAZIONE
Non importa da dove parti (tra l’altro se sei nero probabilmente parti svantaggiato quindi chill sei in buona compagnia), sei sempre comunque una luce che può schiarire un pezzo di strada ai posteri.
Ciò si incarna nella corrente dell’autodeterminismo (o reazionismo).
Crea il tuo spazio, la tua rete, la tua casa, le tue regole. La sovranità delle nazioni africane è un'illusione se non è accompagnata da potere reale, autonomia economica, dignità culturale e autodeterminazione politica.
“è l’unione dei forti che fa la forza dell’unione.”
Ludovic-Hermann Wanda
Ognuno nel suo piccolo deve brillare, e questo presuppone una solida gestione finanziaria (e nemmeno questo fronte può considerarsi un vanto africano).
La luce di Kémi Séba risiede nel suo impegno politico, la sua ONG Urgences Panafricanistes, la sua presenza sui social e molti altri suoi progetti.
Non tutti sono nelle condizioni per abbracciare davvero questa linea di condotta. Non è questione di volontà, ma di possibilità materiali e sociali. Chi nasce in condizioni di estrema povertà, o è segnato da discriminazioni strutturali, non dispone nemmeno degli strumenti minimi di partenza. Buona parte della diaspora africana si ritrova ad affrontare traumi psicologici, barriere linguistiche, clandestinità, isolamento culturale, salute e difficoltà legate all’immigrazione.
L’inclusione della diaspora è la base: la propria dignità viene prima di tutto il resto.
 
CONCLUSIONE
“Un soldato non educato in politica è potenzialmente un criminale.”
Thomas Sankara
Kémi Séba ispirandosi a questa frase, aggiunge che un economista o un uomo d’affari che non è educato geopoliticamente, è un nemico in potenza della sua stessa popolazione. Questo perché il capitalismo, ti assorbe come una piovra, e se non hai un fermo principio sociale e politico (abbiamo visto che Kémi Séba trova fermezza nella riconnessione spirituale e nel ritorno identitario alle sue origini), scivoli nella ricerca del benessere personale e materiale come unico paradigma.
La diaspora riveste un ruolo fondamentale per l’autodeterminazione dell’Africa: ha la possibilità di coltivare una prospettiva più ampia della società globale odierna e tornare a casa con conoscenze e progetti esotici.
“Sembra essere una condizione bassa e umile sapere cosa si fa e perché lo si fa.”
Seneca
 

BIBLIOGRAFIA